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Stagione 2020/2021

Il Vuoto nel Karate-Do

Il concetto di Vuoto è estremamente caro a molte tradizioni orientali e lo possiamo trovare studiato e contemplato in numerose vie spirituali o religiose.
Dato che le arti marziali tradizionali hanno sempre attinto a piene mani da questi percorsi mistici, anche il Karate non fa eccezione, tanto che il concetto di Vuoto è presente nel nome stesso di questa pratica, visto che Karate-Do significa proprio “Via della Mano Vuota”.
A un livello prettamente concreto, questo Vuoto va a indicare che il praticante userà solo le proprie mani per difendersi, senza utilizzare alcun tipo di arma.
Ma questo Vuoto si può fermare a un livello così “superficiale”? Sicuramente no…
Non è questa la sede giusta per dilungarsi in discorsi filosofici, per quanto una dimensione spirituale sia sicuramente compresa nel Karate; infatti oggi parleremo del Vuoto legato al Karate da un punto di vista prettamente linguistico.
Non tutti forse sanno che, inizialmente, il Karate era chiamato To-De, ossia “La Mano” (De o Te) “della Cina” (To).
Ciò indicava il forte influsso che il Karate aveva subito dalle arti marziali cinesi, ma era anche sinonimo di “qualità”, poiché la cultura cinese era tenuta in gran considerazione presso il popolo di Okinawa.
L’ideogramma “To” si può però pronunciare anche “Kara”, e la pronuncia Kara-Te divenne sempre più comune, senza perdere il significato di “Mano della Cina”.
Tuttavia, quando il Maestro Gichin Funakoshi iniziò la sua opera di diffusione del Karate, il Giappone viveva un periodo di forte nazionalismo prebellico.
Perciò promuovere un’arte il cui nome ricordava la Cina poteva essere molto rischioso. Dato che Funakoshi era un calligrafo e uno scrittore di grande cultura, decise di cambiare gli ideogrammi di Kara-Te giocando su un doppiosenso.
Il suono “Kara”, infatti, in giapponese significa anche “Vuoto” ma viene scritto con un ideogramma diverso (quello che trovate come immagine in apertura dell’articolo).
In questo modo Funakoshi cambiò un ideogramma mantenendo invariato il suono; camuffò le origini cinesi del Karate e incluse il concetto di Vuoto intenso in senso buddhista, senza dimenticare che aggiunge il suffisso “Do”, ossia “Via”, dando così al Karate-Do il senso compiuto di “Via della Mano Vuota”.
Il nome di questa arte marziale deriva perciò da un atto quasi artistico e creativo del Maestro, che non a caso seguì uno dei Venti Principi del Karate che lui stesso aveva codificato, ossia “Sii sempre creativo”.
Un messaggio dal Presidente

E’ un momento difficile per tutta l’Italia, specialmente per la Lombardia.
Questa emergenza sanitaria sta colpendo duramente ogni aspetto della nostra quotidianità, e lo sport non è esente da questa crisi.
Infatti, con le ultime direttive emesse dal Governo in data 04/03/2020, si prevede la sospensione di tutte le attività sportive almeno fino al 15 Marzo. Difficile dire se questo stop forzato proseguirà ancora oltre o meno; sicuramente è difficile fare previsioni, perché la situazione si evolve di giorno in giorno, se non di ora in ora.
Resta in ogni caso un contesto difficile, dove lo sport rischia di perdere la sua capacità aggregativa e la sua funzione di mantenerci in salute.
In questi momenti credo sia allora importante, specialmente per chi pratica arti marziali come il Karate, fermarsi un attimo e riflettere.
Possiamo davvero permettere alla paura di paralizzare tutta la nostra vita? Sport compreso?
Credo che la risposta sia ovviamente “NO”, e non lo affermo in modo sovversivo. Le regole sanitarie sono, e saranno, da seguire finché le autorità competenti non diranno il contrario.
Eppure, un approccio diverso per noi praticanti è possibile.
Parto dalla mia esperienza più vicina, ossia quella del Karate-Do.
Questa arte marziale nasce da un contesto di bisogno, di pericolo, proprio come quello che viviamo noi attualmente.
E come si è sviluppata? In grandi palestre e tra centinaia di allievi? No, anzi.
Veniva insegnata in segreto, spesso di notte, a uno, massimo due allievi alla volta.
Inoltre, i grandi “balzi evolutivi” nella tecnica venivano spesso conseguiti in solitudine, tramite uno studio personale.
Credo perciò che dovremmo riappropriarci di questo aspetto, specialmente in questo momento. Potremmo chiamarla una dimensione intima, e più antica, del Karate-Do.
Maestro Funakoshi diceva “Il Karate non si vive solo nel dojo”.
E aveva ragione: si può sperimentare il Karate camminando, preparando il tè, scrivendo, leggendo…in pratica in ogni momento della vita quotidiana.
Ovviamente, anche la parte di allenamento fisico è importante e imprescindibile.
Il Karate è perciò un “tutto”: corpo e spirito, mente e cuore.
E da questa riflessione è nata l’iniziativa della nostra associazione.
Per tutto questo periodo di “stop forzato” forniremo materiale tecnico (tramite video e schede di allenamento) di modo che tutti i nostri allievi, e non solo, possano allenarsi e mantenersi in forma comodamente a casa, nei propri salotti, nelle proprie cucine, ovunque desiderino…anche in totale solitudine.
In più, pubblicheremo articoli riguardanti alcuni aspetti della storia del Karate, che mostreranno come il resistere, adattandosi, a eventi apparentemente incontrollabili e distruttivi faccia parte del DNA di questa arte marziale.
Ancora Maestro Funakoshi ci viene in soccorso quando affermava “Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere”.
Ed è quello che faremo noi, e che speriamo facciate voi tutti. Non rinunceremo alla lotta.
A presto e state in salute! OSSU!
Mattia Lecchi,
Presidente Mu-Nami asd / Referente Discipline Orientali UISP Bergamo.
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